sabato 12 giugno 2010

World Cup, Showdown!


Finalmente ci siamo. Con l'estate (solo secondo calendario) alle porte, come quadriennalmente accade, la sabbia che dal 9 luglio 2006 ha principiato a digradare dall'ipotetica clessidra, aumentando esponenzialmente il proprio flusso, è ora raggranellata sul fondo. E' la medesima sostanza granulosa propria dei bacini semidesertici del Groot e Klein Karoo, occupanti la parte centrale del suolo sudafricano, paese nel quale la kermesse economico-pedatoria (o il contrario, dipende da che punto della sfera si voglia considerare la faccenda) ha ufficialmente esordito quest'oggi alle ore 11, secondo l'orario locale.
Faccio pubblicamente ammenda: le cerimonie d'apertura- con quel loro folklorismo ostentato, con gli imbellettati dirigenti in pompa magna atti nel pregustare il blasone conferitogli dalla competizione stessa e gli introiti di cui potranno godere quando anche l'ultimo goal sarà segnato, con i balletti superflui e un poco kitsch e gli anthems composti per l'occasione mai deludenti, in negativo (la gioiosa seppur inascoltabile Waka waka, eseguita da un'adorabile Shakira incarna la più classica delle conferme) -non le ho mai digerite e, nutrendo una certa avversione per le complicazioni gastriche, ho saggiamente evitato a me medesimo una prematura indigestione catodica.
Vorrebbe Eupalla, breriano nume dell'universo rotondolatrico e vorremmo tutti Noi amanti dello Sport (sì, quello con la 'S' bella grande) che oltre ad azioni rocambolesche, bordate d'inusitata potenza, scontri e incontri dominati da tatticismi arcaici prima e da fantasia e nerbo poi, autoreti à la Niccolai (per il sommo gaudio degli esteti al contrario oltre che d'una portentosa Gialappa's) poetici e irripetibili exploit di qualche 'figlio di un Dio (e di un calcio) minore', fatica, lacrime, sudore (non sangue!) questa diciannovesima edizione dei Campionati del Mondo donasse anche al paese ospitante- arrivato al traguardo con una voglia matta di dimostrare al mondo d'aver recepito a pieno la splendida lectio del sempreverde Mandela essendosi spogliato concretamente dell'odioso razzismo- una risorsa reale. Un effettivo provento, un porto franco dal quale salpare verso il mare di povertà e malattia che strazia una consistente fetta della popolazione, per fungere da panacea.
La speranza è l'ultima a morire, diceva qualcuno. Stavolta non disdegno nel prendermi la responsabilità di troncare sul nascere ogni nostra illusione, dichiarando con un certo fatalismo misto mestizia che non una sola lira, o in questo caso 'Rand', finirà nelle imploranti mani di chi il mondiale lo vive dal retropalco. Gli oltre due milioni e mezzo di sud-africani (in grandissima parte si tratta di coloured) infetti dall'orribile virus dell'AIDS rimarranno isolati nella loro condizione d'incontrovertibile, perchè troppo estesa a macchia d'olio, indigenza.
Il Paese reale- quello degli sgomberati dalle baraccopoli nelle periferie dei grandi centri urbani sempre più occidentalizzati (Johannesburg, la capitale Pretoria, Cape City e Durban su tutti), del caleidoscopico meltin' pot d'etnie stupendamente narrato dal Premio Nobel John Maxwell Coetzee- come troppo volte accade, è separato dalle istituzioni da un'invalicabile cortina di sostanziale difficoltà ad agire e colpevole indifferenza.
Non sarà il Mondiale della rivalsa quindi, dato che chi è 'colpevolmente povero' ('stanno creando delle città dove essere povero è una colpa' dicono i leader del movimento sociale vicino agli abitanti degli slums, Abahlali Basemjondolo riferendosi all'opera della classe politica) viene letteralmente allontanato e nascosto agli occhi vergini del Mondo Benestante(altro maiuscolo), di coloro i quali si recano in Sud Africa per diletto.

Detto questo, un'agile analisi su qello che dovremmo aspettarci dall'agone.

La nostra (?) Nazionale, campione uscente grazie all'alloro tedesco del 2006 (dovrà abdicare, mi ci gioco casa tranquillamente) si presenta a Johannesburg con un gruppo la cui pochezza mndrebbe in sollucchero il Monicelli dei tempi d'oro: pensare che ce la si possa giocare con e più accreditate rivali sa troppo d'utopia.
Un Campionato del Mondo, si dirà, non si conquista solo con tecnica e beaux gestes (Brasile '82 & '06 docet) macon tigna, sorte e convinzione. Certo. Ma all'Italia lippiana, mi sento di dire senza particolare accanimento, i tratti decisivi per tentare uno storico double difettano tout-court: trovare stimoli dopo aver trionfato in Germania davanti al pubblico di casa e infliggendo una punizione che ha il retrogusto di nemesi storica ai galletti d'oltralpe, ormai storici antagonisti, è pressochè, e che se ne dica pure il contrario, impensabile.
La convinzione, prima che agli onesti gegari azzurro- vestiti, manca alla gran parte degli aficionados, o almeno quelli dalle menti non ancora irrimediabilmente oscurate dall'hooliganismo patrio.
Invocare a gran voce la terza estemporanea àncora di salvezza, aka 'Fattore C', già generoso più che mai nella scorsa edizione sarebbe sacrilego.

Se poi si tiene conto dell'attaccamento quasi feticista del cittì viareggino alle sue convinzioni calcisticamente conservatrici, come la fede incrollabile su quei 'veterani' ormai appagati senonchè spompati o la preferenza per gli scolaretti Iaquinta e Quagliarella rispetto ai 'cattivi (ma geniali) maestri' del pallone Cassano, Totti e Balotelli, l'equazione è presto fatta.

Gioco ora a carte scoperte: se, facendo fede all'antico ma mai abbastanza ribadito detto riguardo alla foma sferica della bala e alle imprevedibili conseguenze sul piano di performance e risultati, tutto quanto da me asserito con una certa (colpevole) sicumera dovesse stravolgersi, portando l'agognato trofeo nelle mani di Capitan Ca(aaaa)nnavaro la notte dell'11 luglio, da par mio non indosserò il saio come fece (forse) l'indimenticato Gioànbrerafucarlo dopo l'eclatante impresa contro il funambolico Brasile (quello vero, con Zico, Socrates, Falcao e altre bocche da fuoco) ma, non me ne si voglia, ne prenderò freddamente atto. Una volta di più, ciò che a detta di molti consisterebbe nel fascino dello sport più amato, giocato e vissuto al mondo- il suo impronosticabile esito- consisterà nella pietra tombale della spettacolarità e dell'estetica sportiva.

Questo intervento è il primo di una serie che prometto già essere discontinua e il meno possibile tematica: una gioiosa anarchia la farà da padrona. Cercherò di affiancare al Mondiale sudafricano, che fungerà da substrato e da contesto, gli spunti extracalcistici infilatisi arlecchinescamente tra un goal e l'altro, una conclusione sui 'popolari' e una parata 'por la estampa', così lampanti (secondo la mia scala valoriale) da non poter essere lasciati ad ammuffire nelle segrete della mente. Insomma, si cazzeggierà allegramente.

Nel prossimo scritto mi arrischierò su un paio di pronostici, cercherò di fornire uno screening generale delle compagini più 'interessanti' e, se si paleserà il ghiribizzo, di accennare minimamente ai primi due match del Girone A, tanto 'boring' da rievocare i fasti del calcio londinese anni '70, sponda Gunners.

Ora, vado a coricarmi, con il muggito indigesto delle Vuvuzela ancora riecheggiante nelle orecchie.

(scritto l'11 giugno, vergato in questo loco il 12)

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