giovedì 17 giugno 2010

pensiero & quella rete di Alcaraz



L’anagrafe recita Antolin Alcaraz Viveros per colui che, avesse voluto la sorte (e lo sprovveduto Justo Villar), ci avrebbe in un colpo solo schiaffati fuori dall’agone mondiale, salvandoci da quell’ideale reclusorio evocato in maniera così eloquente dal nome dei suoi avi- nel quale, senza particolari catastrofismi o cassandriche conclusioni, lo Stivale corre il pericolo d’inabissarsi. Quando si dice nomen omen.
Invece, la disattesa coppia Villar-De Rossi, in un frangente di sana incoscienza del primo e di machiavellica predisposizione applicata alla materia calcistica del secondo, riapre il torneo azzurro, e in un amen (tanto basta a noi Maccheroni) ci fa nuovamente ‘stringere a coorte’ da ‘Trieste in giù’, disciplina invece nella quale il carme del buon Goffredo scarseggia. Eccoci all’inno.
Lungi da me indossare le purpuree camicie garibaldine e assumere la posa (un pizzico buffonesca) del patriota imbevuto d’unitari ideali, ma di fronte a certe sozzure ammantate da goliardici baloccamenti due paroline sento il bisogno di spenderle.
Che si faccia dietrologia riguardo al lyp-sync fuori tempo dello juventino Marchisio dopo il bombardamento a tappeto cui media e giornalisti-fantoccio quotidianamente ci propinano, a questo punto, è sintomatico di un Paese scentrato in toto da quelle che dovrebbero essere, di norma, le linee guida alle quali fare riferimento.
Fa colore e folclore (e orrore) un partito (quel populista del correttore automatico ha negato la maiuscola) che, dopo anni di massima fede ad una delle regole non-scritte proprie della satira, quella del bilanciamento tra serio (in riferimento a quel ‘partito’, Il Federalismo fiscale) e faceto (culti pagani col successivo più redditizio passaggio al cattolicismo tradizionale; TRAGIcomiche concioni dai verdi predellini degli invasati esponenti) sulla quale basare il proprio attivismo politico, senta il bisogno, in nome del più classico ‘Io c’ero’, di far notare la propria presenza (quasi come se ne sentisse la mancanza, ahinoi) anche in occasione della massima competizione calcistica tramite i suoi organi propagandistici o peggio, le reti nazionali (leggasi le indiavolate esultanze dei cronisti di una certa radio al vantaggio albirrojas, o l’inno alternativo in una scuola pubblica nel feudo trevigiano).
Allora, comprensibile che l’Inno di Mameli, storicamente snobbato e mal sopportato da eterogenee porzioni d’influenza politica secondo alcuni non rappresenti l’apice della personalissima hit parade, (io stesso, secondo solo a e pochi altri Deutschland Uber Alles lo considero tra i peggiori) ma da qui sino a pretendere o anche solo proporre il suo esautoramento in favore della comunque valido coro verdiano Va pensiero, di acqua ce ne passa tanta da riempire quel catino metallico del FNB Stadium di Johannesburg. E denota la solita malcelata intenzione ‘d’usare l’Inno come clava’ (GloriaBuffo TM), di chi, affrancandosi di ogni circostanza, vuol scavare beceramente in quella fenditura astratta che già divide inequivocabilmente il Belpaese.
Di differenze e contraddizioni l’Italia si fregia ad ogni piè sospinto; interessarsi - come va di moda ora nel mondo della carta stampata e della (medi ocre) informazione- per quale nazionale parteggerà il parlamentare Tizio, il ministro Caio o il consigliere regionale Trota (ops), con le scontate risposte (e consequenziali polemiche) non premia la positiva pluralità della nazione, ma intensifica e dà linfa ad un problema comunque grave ma affrontato con il piede sbagliato. La preferenza per le casacche smeraldine- foggiatesi appena del terzo ‘alloro mondiale’ al Mondiale del Non-FIFA-Board, in quei dell’isolotto maltese Gozo (Orcoccan!)- all’azzurro sbiadito di lunedì sera è legittima , nonché grottesco; viceversa, il prestare il fianco a proclami di dubbia rilevanza, dallo spessore d’un chiacchiericcio da bar sport, pare cosa non buona né giusta (semi-cit). Seguendo la via tracciata dal sussiegoso Marcello Lippi in un apogeo di razionalità sintetizzato in una lapidaria e sbrigativa replica, capace per un attimo (solo uno, tranquillizzatevi) di accaparrarsi i consensi d’Italia, dovremmo (e a chi è deputato all’informazione della nazione, dovrebbe) ‘fregarcene’, ‘non abbassandoci a livelli così bassi’ o magari, come ho tentato io di fare fino ad ora con una discreta difficoltà, evitando di fornire le generalità di lor signori.

Tornando al match di lunedì sera, o meglio, tornando al corollario consequenziale che l’instupidimento globale derivato dalla febbre pallonara potrebbe calare come una scure sulle teste della nazione, continuo a sostenere l’effetto salvifico rappresentato dalla rete del paraguaiano Alcaraz, se fosse stata un unicum nell’avara contesa di Cape Town. Mi spiego meglio.
Una partenza anticipata dal Sud Africa dei quadricampeones eviterebbe che l’Italia dei Lippi e Cannavaro, dei De Rossi e Gilardino,con il passaggio del turno, fungesse da involontario lasciapassare all’Italia azzurro tenebra dei Berlusconi & lacchè (da buon sinistrato, oltre a vedere e non riuscire a pensare ad altri che a Lui, mi riesce difficile esimermi dal nominarlo), quell’Italia dell’impunità, della deriva culturale, dell’imbarbarimento delle istituzioni, del menefreghismo sdoganato, che avrebbe la possibilità di sfruttare - con l’attenzione degli italiani calamitata esclusivamente sulle sorti della nazionale impegnata nel torneo -il momento favorevole per ritoccare definitivamente e far passare il criminoso e dittatoriale ‘Ddl Intercettazioni’. La società civile, in gran parte distratta, allenterebbe la presa, facendo mancare quella spinta ‘eversiva’, di salutare allerta, che nei momenti cruciali come questo costituiscono il solo fattore d’incidenza riguardo ad affari sempre meno accessibili al volgo e sempre più sbrigati dall’altezza di qualche scranno.
Si rischia il baratro. Caderci dentro senza reagire sarebbe un cadeau troppo smisurato anche rapportato alle aspettative di quella banda di manutengoli, che sul ‘sonno della ragione’ hanno costruito un regime mascherato che ora anelano a consolidare. Non si può fornire il più calibrato degli assist per mettere finalmente fuori gara una terza tipologia d’ ‘Italia’, delle persone comuni (e civili), di chi non ha l’intenzione né il lusso di arrendersi.
Occhi aperti quindi e, se possibile, ‘coscienze smosse’.

Per quanto mi riguarda, dopo un inizio di Mondiale al Propofon, dominato dalla ponderatezza tattica e dalle segnature col contagocce, saluto con estremo gaudio la garra uruguagia dimostrata contro i padroni di casa, l’estroso ‘torello’ sperimentato dal nino maravilla Sanchez & compagni ai danni dei peones honduregni e lo stupore nel viso degli spagnoli, beffati dal ‘ratto’ (di partita e punti) degli svizzeri rossocrociati.

Attendo con ansia che giunga il meriggio domenicale, sperando in un gollonzo di Killen sulle note di un (De)Gregoriano Viva l’Italia.

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