lunedì 21 giugno 2010

L'Africa nel Pallone: Analisi d'un fallimento




Forse c’eravamo sbagliati. Da bravi espansionisti, si pensava bastasse insinuare nella psiche dei selvaggi lo spirito tatticista, perché questi- dopo aver metabolizzato a dovere la dottrina- potessero superare senza eccessivi patemi né scrupoli i maestri d'Occidente.
Dopo ormai un ventennio di curiosa gestazione, i massimi dissipatori di prestanza fisica e atletica, hanno mancato la zampata decisiva anche tra le mura amiche.
Un tempo, agli albori del calcio africano, prima dei vari Milla, N’Kono, Eto’o e Drogba, l’Africa del Pallone si presentò al Mundial messicano (rappresentata dal solo Marocco) con auspici sfavorevoli e credenziali ridotte al lumicino.
Il risultato fu magro: i marocchini vennero estromessi dalla competizione ancor prima di poterci provare, rispediti in quei di Casablanca per mano (o piedi) tedesca e peruviana.
Quattro anni dopo, una rabberciata selezione zairese rimandava la prova del nove, incassandone invece quattordici, a contrasto del numero ‘0’, sotto la colonnina alla voce ‘reti realizzate’. Non sembrava certo possibile anche solo concepire quelle compagini fantozziane come un’insidia al dualismo Sud America (leggasi Brasile)- Europa.
Poi, le prime avvisaglie di una plausibile inversione di tendenza.
E’ il 1982 e nella tia Espana l’Algeria allarma l’oligarchia calcistica all’occidentale imponendo una doccia gelata quantomeno inaspettata al Wunderteam teutonico, trascinata dai guizzi di Madjer.
Gli arabi si imporranno anche sul modesto Cile - in una disputa come a volte riescono ad offrire solo le compagini poco aduse al difensivismo e dispensatrici di grossi regali agli avversari - ma non riusciranno a centrare l’impresa della qualificazione, complice lo Schande von Gijon (Patto di non-belligeranza di Gijon) tra tedeschi ed austriaci, rei di un Anschluss fuori tempo. Si trattò di una delle più lugubri pagine in tutta la storia dello sport, un concerto d’esecrabile antisportività. Gli alpini, grazie ad una differenza reti favorevole, si ‘accontentarono’ di regalare la vittoria ai cugini, estromettendo di fatto Madjer e compagni.
Contemporaneamente nel Gruppo 1 il Camerun impatterà tre incontri e concludendo il gironcino con gli stessi punti degli azzurri di Bearzot. L’Italia approderà al secondo turno grazie al maggior computo di reti segnate, e proseguirà il Mondiale come tutti ben sanno. Ma questa è un’altra storia.
Nell’86 messicano altra piccola affermazione con il passaggio del turno marocchino. Nulla più che un fuoco di paglia.

‘Le notti magiche’ italiane regalano in mondovisione un sogno dai sapori sub-sahariani: Il Camerun di Roger Milla, splendido trentottenne-immarcescibile a tal punto di partecipare anche alla successiva Coppa del Mondo- arrivò fino alle soglie della semifinale, superato nei quarti solo da una tenace Inghilterra.
La spensieratezza, la fisicità e la generosità-amalgamate invero con un’eccessiva dose d’imperizia tattica- della ‘squadra simpatia’, marcarono l’archetipo della compagine africana ‘tipo’, caratterizzazione che ancor oggi è, a ben vedere, ritenuta valida.
Da quel momento in poi, destituiti a forza dalla Torre d’Avorio di calcistica supremazia e inattaccabilità, abbiamo atteso l’incombere del fatale momento, nel quale quegli adoni d’ebano avrebbero avuto la meglio su gringos frombolieri o rocciosi alfieri mittel-europei.
Invece, come sempre riescono a fare, gli africani ci hanno nuovamente stupito. Questa volta, ahiloro, in negativo.
Lo storico risultato della selezione camerunense- che pareva essere il primo di molti- rimase invece per molto isolato e si ammantò di leggendaria eccezionalità, fino all’exploit inatteso del Senegal a ‘Korea & Japan 2002’, capace di inscriversi tra le migliori otto nella manifestazione probabilmente più rocambolesca di sempre. Nel mezzo e a seguire, il nulla.

A dire il vero, un po’ sento di dare la colpa a noi.
A noi geometrici e noiosissimi occidentali, che misconosciamo il rischio sul manto erboso e prediligiamo un’arcana attività regolamentata da lavagnette, pressing alto, dottrine al videoproiettore.
Noi esegeti del ‘prima non prenderle, poi (forse) darle’, fautori in primis del controgioco che dell’attacco verticale dello spazio.
Noi convinti di convertirli al tatticismo, imbrigliando la predisposizione al gesto irruento.
Artur Jorge, Schafer, Bruno Metsu e altri hanno aperto la strada all’opera ordinatrice dei ben quattro commissari tecnici sulle panchine delle nazionali africane in Sud Africa, vagheggianti una seducente aggregazione tra l’erudizione strategica, imposta ai calciatori africani dall’alto, e lo straripante atletismo. Secondo quanto visto fino ad ora, la sagace pianificazione ha portato più bastonate che frutti.
Doveva essere la Coppa del Mondo della definitiva esplosione: al posto di onorificenze e gloria, sfumate dopo due gare, è rimasta solamente qualche briciola, sottoforma di orgoglio da dimostrare nella terza e ultima gara dei gruppi, oltre a cinque probabili eliminazioni (di cui tre certe) su sei.
Analizzando quanto finora mostrato sul campo, l’Africa del Pallone si traduce subitaneamente in un Africa nel Pallone, vittima dei soliti abbagli difensivi, delle solite imprecisioni tecniche e, quantomeno inaspettati, di atteggiamenti consoni ad un’incerottata Svizzera (peraltro ottimamente orchestrata dal Generale Hitzfeld): troppo poca la voglia d’osare.
Gli ‘imperialisti del pallone’ hanno prosciugato, in buona fede e in nome di una visione di calcio all’europea, fucine di vivacità e sana incoscienza col tentativo d’ottenere ‘gioiose macchine da guerra’, con risultati non certo gratificanti.

Delle sei ai Mondiali, le tre che ancora possono sperare, mano agli amuleti e in seguito a makumbe d’ogni risma, sono la disattesa Algeria, il Ghana e la Nigeria. Agli arabi, gli unici diretti da un tecnico compaesano, basterebbe (si fa per dire) sconfiggere gli Yankees nel Gruppo mondiale dove sovrana è l’imponderabilità.
La Nigeria dello scandinavo Lagerback, oltre a prevalere sulla tonica e mai doma Sud Corea, necessita della disfatta ellenica con un Argentina ormai lanciata verso un comodo ottavo. Per quanto riguarda i ghanesi, a mio avviso davvero modesti ma tuttora in gara, far pari patta con la Germania significherebbe qualificazione.
Le Guen, Parreira ed Eriksonn possono versar amare lacrime per le eliminazioni di Camerun, Sud Africa e Costa D’Avorio.
Ad un Camerun irriconoscibile rispetto ad attese e standard, rimane solo l’esultanza del fenomenale leader Eto’o in seguito al temporaneo vantaggio contro i danesi, a testimonianza di una totale dedizione alla causa e coesione con la sua gente.
Ben poco può invece portare nel suo bagaglio il brasiliano Parreira, in seguito alla disfatta del Sud Africa gran cerimoniere della competizione.
L’influenza carismatica e quasi ieratica del grande Mandela e dell’arcivescovo Desmond Tutu nulla han potuto rispetto alla pochezza dimostrata in campo da Pienaar e compagni – i quali, dopo l’euforia dell’esordio- sono stati scherzati dal ciclone Uruguay.
Quanto alla Costa d’Avorio, ad incidere definitivamente sulla qualificazione sono i sette goal realizzati da un Portogallo in formato deluxe alla Corea del Nord, lontana parente di quell’orgogliosa banda ammirata contro i più blasonati verdeoro e parsa annaspare quest'oggi sotto il diluvio, peraltro ininterrotto durante la disfida.

Amaramente concludo, augurando buona sorte agli africani che ancora possono auspicare di centrare l’agognato obbiettivo.

Ke Nako, Africa!

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