Se esistesse l’Università del Calcio, Artem Milevskiy ricoprirebbe il ruolo di accademico in ‘Dissipazione di talento e deterioramento del proprio fisico’, agile corso in 10 lezioni frontali.
Più Robin Friday che George Best, più Eduard Streltsov che Andriy Shevchenko.
Avrete ben noti l’Usignolo di Kiev e ‘il quinto Beatles’, ma gli altri due?
Friday, offerto alle masse di feticisti del pallone grazie ad un’encomiabile esegesi da parte del duo McGuigan-Hewitt, fu una punta tecnica e potente, in grado di accorpare in un sol uomo alla potenza dei centravanti ‘ all’inglese’, l’imprevedibilità e una tendenza alla giocata d’effetto proprie di un funambolo.
Un hide Best, con più esattezza, dato che nei soli sei anni di calcio professionistico a ricordare le sue gesta, condite da svariati vizi e rarefatte virtù, rimangono sparuti tifosi di Hayes, Reading e dei gallesi Bluebirds ( Cardiff F.C), club ai quali ha prestato i servigi.
Tra le tante, l’abbandono del campo a match in corso con conseguente ritorno, appena in tempo per far compilare, sotto la voce ‘Goal’ , il proprio nome. Motivo dell’assenza? Un paio di pinte al pub adiacente il Church Road, casa dell’Hayes. Magico.
L’altro, Eduard Streltsov, fu il ‘Pelè bianco’, il diamante cristallino che Cremlino, Kgb e lo Stato Maggiore-cioè la summa dei reggenti sovietici- nei tardi ’50 cercarono di far assurgere a vessillo dello sport comunista. ‘Donne, vodka e gulag’ è il titolo di un libro recentemente uscito, che bene riassume storia e passioni.
Il talento, nato nelle fila della Torpedo Mosca, ribelle e sbarazzino come il proprio ciuffo, rifiuta caparbiamente le offerte da alcuni dei club più blasonati dell’intera Madre Patria, allora controllati da Politbjuro ed esercito, facendo montare nei suoi confronti fastidio e volontà punitiva. La scure sovietica s’abbatte su Eduard nell’occasione d’una festa di Partito sottoforma di pettegolezzo: secondo le voci Stretsov avrebbe abusato carnalmente di tale Maria Lebedeva. Nemmeno il tempo di proclamare la parola ‘innocenza’, che viene sbattuto a Butirka, terribile luogo adibito ai lavori forzati. Gli danno dodici anni, ne sconterà sette. Lunghissimi.
Dal ’65 torna a vestire la casacca della sua Torpedo, con cui vince il secondo ed ultimo titolo. Non sarà però più lo stesso. Si spegne, malato di cancro e d’ingiustizia, nel luglio del ’90.
Di questi due potenziali campionissimi, vittime di se stessi e d’un destino crudele e beffardo, si ricorda ben poco. Sembra, suo malgrado, parzialmente seguire la scia il pennellone ucraino Artem, figlio di Bielorussia e trapiantato in Ucraina dal 2002.
Il ragazzo, nonostante l’insoddisfacente prestazione dei bielorussi agli Europei di categoria (U-16) viene notato e subito naturalizzato dalla tempestiva federazione ucràina. Ed è proprio ad inizio duemila che la sua carriera incomincia a decollare.
Guadagnatosi un posto in squadra nella gloriosa Dinamo Kiev, prende parte all’Europeo Under 21, dove traghetta la sua nuova nazionale ad una perdente finale. Nella fase a gironi, il Nostro realizza un rigore a cucchiaio. Verrà inserito nella top 11 del torneo.
Oleg Blochkin, lungimirante cittì gialloblu ed ex-bomber, un mese dopo lo porta con sé alla World Cup tedesca, con l’intento di fargli fare qualche sgambata. Fino al supplementare degli ottavi di finale non troverà spazio e la sua sembra una convocazione di circostanza.
Poi, l’epifania.
Colonia, 26 giugno. Calci di rigore. Sbagliano Streller, Barnetta ed il Pallone d’Oro Shevchenko.
Tocca ad Artem. E’ il secondo penalty per i suoi.
Entrato da pochi minuti in campo, si avvicina al pallone, lo sistema sul dischetto. La prossemica non pare delle migliori: l’occhio è vitreo, la rincorsa ingobbita e goffa, invece…
Ecco, un ventenne che riesce a ripetere un rigore al modo di Panenka, con gli occhi di una nazione e oltre addosso, la stoffa ce l’ha. Inter, Bayern Monaco, Valencia, Lazio e West Bromwich Albion, solo per citarne alcune, negli anni si interessano a lui.
Non se ne fa mai nulla, in buona parte perché per convincere le alte sfere della Dinamo Kiev ci vuole più di qualche rumors.
Gli ucraini si tengono stretto il proprio gioiello, di fatto imprigionandolo tramite contratti d’oro e clausole, con la speranza che li riabituerà a dominare come ai tempi della coppia Sheva-Rebrov il campionato nazionale.
Di risultati individuali ne porterà pure all’ovile, su tutti il titolo di capocannoniere nel campionato 2009-10, ma l’affacciarsi alla ribalta dello Shakthar Donetsk porta via, nell'ultima decade, ben sei titoli alla compagine di Kiev.
Tecnica cristallina, fisicità prorompente e una personalità da top player sono micce in grado di far ardere l’interesse dei vari club europei, i quali fuochi passionali vengono spenti sul nascere dalle discrepanze comportamentali del giocatore, dall’impegno a volte insufficiente, dallo spassionato amore per l’alcool.
La maxi-offerta capace di strappare Artem ai suoi ormai decennali padroni, non è ancora giunta a destinazione. Le notti passate nei night club della capitale assieme al compagno di merende (e bevute) Aliev sono già leggenda.
Gira su internet questo filmato in cui un imitatore ucraino fa il verso al Nostro, dipingendolo come un ‘tuffatore’ dedito ad alcool e fumo.
http://www.youtube.com/watch?v=xcsw84V-6yI&feature=related
In un calcio dove i club europei sembrano, a livello di mercato, sempre più privi di fantasia ed idee, in cui- prendendo ad esempio l’Italia- fino a un paio d’anni fa si sperava a torto in una rinascita sportiva di giocatori ‘bolliti’ come Adriano, Toni o Iaquinta, che non ci sia un posto per Milevskiy pare strano.
‘L’Ibrahimovic d’Ucraina’ come lo chiamò, in una delle poche intuizioni calibrate Fabio Caressa, merità di più.
Più di alcool, donne e dimenticatoio.
L’Europeo sarà la sua ultima chance.
удачі Чарлі, Artem!
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